Tra un anno si aprirà la Grande Assise virtuale dell’AMP. Essa giunge in un momento in cui un vento soffia ovunque. Le voci delle donne stanno emergendo, rompendo un silenzio che viene da lontano. Esse proclamano legittimamente il loro desiderio di uguaglianza e di libertà, denunciando le ingiustizie sessiste e la violenza contro le donne. La psicoanalisi fa la sua parte in questo movimento.
Questo testo ha lanciato, il 30 aprile 2021, la Grande Assise virtuale internazionale dell’AMP.
Scopritelo integralmente qui sotto.
E ascoltate Christiane Alberti, direttrice di questa Grande Assise, presentarlo.
Logica freudiana (–φ)
Delle donne sono all’origine della psicoanalisi. Ascoltandole, Freud ha fatto intendere una parola inedita sulla loro vita amorosa e sessuale, in un tempo in cui si vedevano in loro solo delle genitrici. Ma porta il marchio della sua epoca e «la tradizione di un lungo passato». Oggi diremmo che la concezione freudiana della femminilità è fallocentrica. Freud, infatti, si è regolato sul fallo come simbolo della castrazione per pensare la femminilità. Nell’inconscio, l’essere femminile sarebbe irrimediabilmente segnato da una mancanza, colpito dal segno meno. È un punto di vista che si radica nell’impatto dell’impressione (ricordo infantile) del confronto immaginario dei corpi maschile e femminile che fa credere a un’assenza femminile e alla castrazione della madre. Da questo avere ancorato al corpo, ne conseguirebbe che l’uomo si pensa completo mentre l’altro sesso sarebbe segnato da una irrimediabile incompletezza, con il suo carico di delusione, rivendicazione, avidità e rivalità eterna tra uomini e donne.
È ciò che ha scioccato molte femministe, ritrovare sotto la penna di Freud i topos più insopportabili che fanno della donna un essere privato, dotato di un sentimento di inferiorità.
Questa logica, che consiste nel concepire l’edipo per la bambina a partire dalla sua versione maschile, sfocia in un cammino tortuoso verso la femminilità. Freud stesso ha preso la misura dei limiti di questo approccio, sia per le donne che per gli uomini, poiché è inciampato sull’enigma della femminilità che non si lascia risolvere dal complesso di castrazione. Da qui le parole taglienti di Lacan: «Per misurare la vera audacia del suo passo [di Freud], basta considerarne la ricompensa, che non s’è fatta attendere: lo scacco sul carattere eteroclito del complesso di castrazione[1]». Il famoso rifiuto della femminilità non era forse da leggere diversamente? Sarà la via di Lacan.
Occultazione del principio femminile
«Non ne possiamo più del padre»
Lacan ha in primo luogo formalizzato l’edipo freudiano attraverso la riduzione linguistica del mito, con il Nome-del-Padre e la metafora paterna. Con questa operazione di simbolizzazione, il Nome-del- Padre si sostituisce all’incognita (x) del desiderio della madre e le dà un senso. Il soggetto è così condotto ad un rapporto normalizzato con il desiderio sottomettendosi alla Legge simbolica. L’effetto della metafora è di coinvolgere i soggetti per pensare, godere, riprodursi… nelle norme degli ideali classicamente ammessi del loro sesso.
In questi tempi di strutturalismo, Lévi-Strauss teorizzava che le donne sono impegnate come oggetti di scambio tra lignaggi fondamentalmente androcentrici. Lacan si allontana da questa concezione. Egli non manca di rilevare che qui c’è un «inaccettabile» della posizione della donna, che attiene alla sua «posizione di oggetto[2]», anche se d’altra parte è completamente sottomessa all’ordine simbolico così come l’uomo. Vi vede «il carattere […] conflittuale, […] senza sbocco, alla sua posizione – l’ordine simbolico letteralmente la sottomette, la trascende[3]». In questo regime, che non esita a qualificare proudhoniano del «tutti gli uomini[4]», il tentativo di assegnarla ad un posto (moglie, madre, figlia…) è destinato al fallimento e non manca mai di suscitare la rivolta. Una parte del femminile non riesce a trovare il suo posto nel mondo, è propriamente insituabile, e questo non risale a ieri!
Lacan terrà conto molto presto di questa parte, andando contro una psicoanalisi garante della «pace in casa» che riporterebbe la donna alla madre e l’uomo al bambino. Come meglio dire che la supremazia del padre a fondamento della nostra cultura, ha un rovescio che Lacan ha formulato come «l’occultazione del principio femminile sotto l’ideale maschile[5]».
Sembianti
Questa formalizzazione lo ha portato, in un secondo tempo, a ricondurre il padre non a un nome ma a una funzione, che rende possibile una pluralità di supporti, dei Nomi-del-Padre. Lacan aveva infatti diagnosticato a partire dagli anni ‘30 il declino del padre onnipotente. Non c’è Il padre, ma uno sciame di significanti (significanti-padroni) in grado di nominare i modi di godere di un’epoca. Questa pluralità rende conto dei mutamenti contemporanei e in particolare della grande diversità della vita sessuale: ciascuno inventa il proprio modo di godere e di amare, rivendicando un nome per scenari che detronizzano l’edipo come soluzione unica del desiderio.
Tutta questa architettura simbolica edipica, costruita su immagini e significanti, non è altro che una finzione in cui si rivela il carattere di sembiante di cui Lacan ha avanzato il valore, l’uso. Il fallo, che il padre consegna come ideale, emblema della potenza simbolica, è anch’esso un sembiante di cui si vestono uomini e donne, a seconda di una virilizzazione o femminilizzazione dell’apparire (par-essere) per trattare il sessuale.
Lacan aveva quindi anticipato l’era del genere fluido (gender fluid) che ha portato via il binario uomo/donna. Gli uomini, le donne, i generi di ogni genere, sono innanzitutto esseri di linguaggio. La paternità, e molto presto la maternità, il matrimonio, sono solo finzioni. Non c’è motivo di credere fino in fondo a tutte queste «ragazzate[6]» significanti, fa intendere un Lacan volteriano, ironizzando sulla finzione del linguaggio, pur dimostrando la loro utilità in quanto sembianti.
Ma c’è di più. La presa di parola delle donne in analisi lo spingerà a trarne tutte le conseguenze sulla strutturazione e le forme del desiderio. Egli è portato a prendere in considerazione una dissonanza tra, da un lato, le posizioni sessuali definite nell’Altro, che si prestano a tutti gli slittamenti significanti e, dall’altro, il più-di-godere particolare a ciascuno, che è soggetto a una grande inerzia. In altre parole, si esercita una tensione tra il significante-padrone S1, nella prospettiva dei discorsi, collettivizzante, idealizzante, e a, l’oggetto di godimento.
Poi Lacan andrà oltre questa tensione tra S1 ed a, derivati dal fallo, per impegnarsi sulla strada di un godimento supplementare che resiste al senso sessuale.
Sessuazione
Lacan introduce il termine sessuazione per indicare l’elemento soggettivo di scelta, dipendente da ciò che ha chiamato le formule della sessuazione. Queste ultime forniscono indicazioni quanto al modo possibile di inscriversi nel sesso, al di là degli stereotipi della designazione uomo/donna. Così, nel suo Seminario Ancora, egli enuncia questa scelta nei termini de «la parte chiamata uomo[7]», «oppure donna».
La «parte chiamata uomo» permette a un soggetto chiunque sia di inscriversi sotto il regime della castrazione, nel senso del limite che instaura la funzione linguaggio. Il regime della mancanza è quindi proprio qui sul lato maschile! L’esperienza del corpo che gli corrisponde è quella di un godimento limitato all’organo fallico, localizzato, sentito come fuori corpo. Questa parte quindi delimita il mondo della sessualità in cui si ama e desidera l’altro aiutandosi con il fantasma: del corpo dell’Altro, si può godere solo mentalmente ($ ◊ a).
La «parte chiamata donna», invece, non risponde ad alcun universale ma solo ad un rapporto contingente con il fallo. Non è tutta presa nella dimensione fallica, perché alla radice di questo non-tutto, Lacan postula un godimento propriamente femminile: un godimento del corpo, indicibile, senza forma, né ragione. Se la si dice «impropriamente» femminile, è nel senso in cui è la sessualità femminile che ne dà la panoramica migliore: in termini immaginari, il continente nero freudiano o il sentimento oceanico; in termini logici, l’infinito o il non-tutto. È proprio l’immagine di un godimento «avvolto nella propria contiguità[8]» che, fin dagli «Appunti direttivi per un Congresso sulla sessualità femminile», indicava il rapporto con l’infinito. I suoi effetti di illimitatezza, si ritrovano in particolare nella mistica o in forme di abbandono di sé, che sfuggono al quadro che dà il fantasma.
Questa parte chiamata donna è senza misura comune con gli ideali, perché non si inscrive nell’ordine dei valori ma rientra nell’unicità. È un modo di godere che fa di ciascuna donna un’eccezione e che, a questo titolo, non può collettivizzarsi. Ecco perché nessun nome può costituire l’insieme di «tutte le donne». Questa mancanza di nome, Lacan la scrive S (Ⱥ). Per il fatto di essere fuori linguaggio, questo godimento non dà alcuna possibilità di ancoraggio a un’identificazione, non ci si riconosce, al punto che Lacan ha potuto dire che induce piuttosto il sentimento di essere Altro per se stessa. A questa mancanza nell’Altro risponde l’esigenza della parola d’amore come unica via di supplenza possibile.
Queste strutture significanti del corpo permettono di declinare le forme differenziate dell’amore e del desiderio, feticista o erotomaniacale, a seconda che privilegino la via dell’oggetto o dell’amore come condizione del godimento.
Il passo decisivo compiuto da Lacan è stato quello di aver affermato che, se le donne sono senza una vera mediazione, esposte a questo godimento supplementare, non ne hanno per questo il monopolio. Vale anche per gli uomini. Ciò che Lacan chiamava principio femminile può dunque essere generalizzato agli uomini e si illumina come il principio di un godimento che si supporta al di là del senso fallico: dà il suo statuto più profondo al godimento.
Aspirazione contemporanea alla femminilità
Dichiarando «La donna non esiste[9]», Lacan anticipava una questione se non la questione principale del mondo contemporaneo: ci sono le donne, sì, e come! Sono ovunque. Gli uomini non si sono ripresi, e nemmeno le donne. Le resistenze più forti, dai colori del delirio e della rabbia, quelle degli uomini come quelle delle donne, consistono nel voler ricondurre questa aspirazione alla femminilità all’ordine androcentico. Jacques-Alain Miller vede in questa aspirazione uno dei fenomeni più profondi della nostra civiltà: «Le grandi fratture tra l’ordine antico e quello nuovo alle quali assistiamo, si decifrano, almeno per una parte, come l’ordine virile che indietreggia di fronte alla protesta femminile[10]». Il femminile, di cui J.-A. Miller segnala la crescente importanza, non è dell’ordine di un nuovo padrone poiché, come abbiamo visto, in quanto tale sfugge a ogni padronanza, a ogni sapere.
Volendo «mettere il fallo nel dimenticatoio», Lacan non aveva forse preceduto, in un certo senso, le neo-femministe di oggi che vorrebbero affrancarsi dal senso sessuale così come è comunemente ammesso nell’Altro? Aldilà delle diverse trasformazioni che il neo-femminismo ha conosciuto dagli anni ‘70, oscillando dal femminismo politico (detto di dominazione) al femminismo dei corpi («pro sex»), il femminile ha sempre insistito. Oggi appare come una questione di fondo che supera le teorie del genere. Volendo «disfare l’assegnazione del genere», queste ultime hanno negato il significante donna.
Al cuore di questo movimento, i recenti tentativi di riformare la lingua, si confrontano con il funzionamento della parola e del linguaggio. Questo sforzo non è forse vano, tanto è impossibile parlare fuori genere e fuori corpo, salvo essere ricondotti al silenzio? La via della lettera, fuori senso, preconizzata da Lacan, diversamente appare più fertile, lei che apre una nuova prospettiva sulla femminilizzazione.
Esaurendosi nella caccia ai sembianti, sempre sospetti di essere prescritti dall’Altro, un’altra tendenza del neo-femminismo contemporaneo fa grande rumore. Alla ricerca di una maggiore consistenza ontologica della femminilità, essa situa la lotta politica al posto stesso del corpo femminile, in un tentativo di controllo del godimento. Milita in particolare a favore di un lesbismo politico per meglio affrancarsi dal potere maschile. La falsa sorellanza di corpi che ne deriva non è forse un esito fittizio basato in definitiva sull’immaginario dei corpi?
Lacan ha aperto una via diversa da quella del discorso. Radicalmente sovversiva della tradizione, ha trovato la sua fonte nella parola delle analizzanti e degli analizzanti.
La definizione della femminilità non ci lascia tranquilli. L’essere che la parola ci conferisce è poco consistente, sfuggente, il che ci trascina in una passione della parola giusta che direbbe finalmente l’essere femminile autentico. Non è questo che può spingere una donna a cercare nell’analisi un terreno che si sottrae di meno? Ora, come dice Lacan, delle donne «se ne può dire tutto, anche se proviene dal senza ragione[11]». Su questa via, l’analisi conduce al di là delle finzioni alle quali l’Altro ci avrebbe assegnato, all’incontro della contingenza dei significanti che governavano la nostra vita.
Al di là del tappo fantasmatico che compensava la nostra mancanza ontologica, l’analisi mette in luce l’esperienza di ciò che Lacan chiama il sesso come tale, a partire dalla logica del non-tutto. Essa si accompagna con una rete più fondamentale di quella del fantasma, più stabile dei valori del genere, più forte di tutto, là dove si esiste veramente e in modo unico. È la via del sintomo che, in questo senso, ci femminizza.
Che ci siano delle donne e non La donna, non significa che la loro esistenza preceda la loro essenza, ma che essa «fa a meno dell’essenza della femminilità[12]» secondo la formula di J.-A. Miller. Cosa si può apprendere a questo proposito dall’esperienza dell’analisi? Cosa si può estrarre dal principio femminile delle cure di oggi, quelle delle donne come quelle degli uomini? Si guadagnerebbe a dare ai matemi di Lacan delle forme maschili o femminili del desiderio, rispettivamente Φ (a) e Ⱥ (φ), il loro valore attuale. Questo è ciò che ci si può aspettare dalle Grandi Assise Virtuali Internazionali dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi che dovranno osare tutto, perché… La donna non esiste!
Christiane Alberti
Traduzione Laura Pacati
[1]. Lacan J., «Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano», Scritti, vol II., Torino, Einaudi, 2002, p. 825.
[2]. Lacan J., Il Seminario, libro ii, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi [1954-1955], a cura di A. Di Ciaccia, Torino, Einaudi, 2006, p. 303.
[3]. Ibid., pp. 302-303.
[4]. Ivi.
[5]. Lacan J., «I complessi familiari nella formazione dell’individuo. Saggio di analisi di una funzione in psicologia», Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 83.
[6]. Miller J.-A., in «Le Parlement de Montpellier», journées UFORCA del 21 & 22 maggio 2011, inedito.
[7]. Lacan J., Il Seminario, libro xx, Ancora [1972-1973], a cura di A. Di Ciaccia, Torino, Einaudi, p. 74.
[8]. Lacan J., «Appunti direttivi per un Congresso sulla sessualità femminile», Scritti, vol II., op. cit., p. 732.
[9]. «La donna non ex-siste» (Lacan J., «Televisione» [1973], Altri scritti, op. cit., p. 531).
[10]. Miller J.-A., «Progrès en psychanalyse assez lents», La Cause freudienne, no 78, 2011, p. 197; tr. nostra.
[11]. Lacan J., «Lo stordito» [1972], Altri scritti, op. cit., p. 463.
[12]. Miller J.-A., «Liminaire», Ornicar?, no 22-23, printemps 1981, p. 1; tr. nostra.